Sandinista! ne fa 40: l’analisi, il libro e intervista ad Antonio Bacciocchi

La foto di copertina di Sandinista dei The Clash

Sandinista!, uscito nel 1980, è il quinto album dei Clash e sicuramente il loro disco più “difficile”. Quando lo ascoltai per la prima volta ne rimasi profondamente disorientato, e mi ci sono voluti degli anni per cogliere pienamente tutta la sua forza. Se già con London Calling i Clash avevano sorpreso per la varietà di generi e per la grande apertura musicale dimostrata, con il triplo (venduto al prezzo di un doppio) Sandinista! la band va oltre.

Gli elementi fondamentali dell’album

Sono trentasei brani a comporre questo lavoro ed è sorprendente quello che si scopre una volta che ci si avventura in un ascolto attento e senza pregiudizi. In Sandinista! si trova di tutto: rap, funk, jazz, reggae, dub e tanto altro. Il disco è stato spesso criticato per essere un lavoro importante ma disordinato e ricco di “riempitivi”, e questo è in parte vero, ma si tratta di una caratteristica fondamentale di Sandinista!.

Davanti a molte delle trentasei canzoni che compongono il triplo si rimane estasiati, disarmati davanti a tanta bellezza.

I contenuti di questo album dimostrano la grande maturità, anche politica, raggiunta dai Clash, esemplari a tal proposito sono le monumentali Something About England e Washington Bullets, capaci di raccontare con raffinati versi importanti pagine della nostra storia contemporanea.

Sebbene le collaborazioni siano state tante, tutti i brani sono accreditati come The Clash. Nel disco trovano spazio vari artisti, per quanto mi riguarda un capitolo a parte meritano la presenza di Ellen Foley in Hitsville U.K., un pezzo motown dedicato alle etichette indipendenti, e quella di Tymon Dogg in Lose This Skin, a proposito di quest’ultima Martin Scorsese ricorda “Ero a New York. Avevo delle casse dell’impianto che tenevano tutto il muro. I Clash vennero nel mio appartamento e infilarono un nastro nel mio registratore, era ‘Lose This Skin’… improvvisamente tuoni e fulmini scoppiarono in tutta la città… fu uno di quei grandi momenti… tutte le forze della natura scesero in quella stanza”.

Dal mio punto di vista questi sono i pezzi più significativi di Sandinista: The Magnificent Seven, Hitsville U.K., Something About England, Rebel Waltz, Somebody Got Murdered, One More Time, Up in Heaven (Not Only Here), Corner Soul, If Music Could Talk, Washington Bullets, Broadway, Lose This Skin, Charlie Don’t Surf.

Ci sarebbe così tanto da dire su questo triplo che serviva un libro per parlarne in modo dettagliato e autorevole. Ci ha pensato Antonio “Tony Face” Bacciocchi che, in occasione del quarantennale dell’album, ha pubblicato per la sua neonata casa editrice “Cometa Rossa” un libro dedicato a Sandinista!.

Ho avuto il piacere di intervistare Antonio per parlarne. Prima di passare all’intervista, per inciso, ci tengo a precisare che gli ultimi mesi del 2020 ci hanno regalato altre interessanti pubblicazioni letterarie in ambito musicale, quelle a me più care sono state: Bologna 1980, il concerto dei Clash in Piazza Maggiore nell’anno che cambiò l’Italia (Ferruccio Quercetti e Oderso Rubini), Punk. Born to lose (sempre di Antonio Bacciocchi) e Arcipelago Mod, il Mod Revival in Italia 1979-1985 (Stefano Spazzi).

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Intervista su Sandinista! ad Antonio “Tony Face” Bacciocchi

Il libro su Sandinista! è uscito per la tua collana Cometa Rossa, che prevede l’edizione di alcuni libri in 100 copie non ristampabili, con la distribuzione da parte di Roberto “Hellnation”. È un’idea che mi piace tantissimo, ma ti chiedo: come ti senti nel sapere che delle 150/200 persone circa che nei prossimi giorni (prevedo) leggeranno questa intervista, nessuna di queste potrà comprare questo lavoro, in quanto già esaurito? In pratica stiamo parlando di qualcosa che non può essere proposto al pubblico che ci legge.

Il concept alla base di queste pubblicazioni è nell’idea anti consumistica che non si può avere tutto in qualsiasi momento, come è ormai prassi al giorno d’oggi. Premesso che un libro su Sandinista!, come nel 90% delle cose prodotte al giorno d’oggi, non è essenziale, la mia è un’opera artigianale, in poche copie, per appassionati. Lo so che non è bello restare a bocca asciutta ma l’idea (anche “economica”, non sono un vero editore e tanto meno mi posso permettere di rischiare soldi tra invenduti e resi) è di un prodotto limitato che una volta esaurito non puoi più avere.

Che effetto ti fece Sandinista! al primo ascolto? E che effetto fece secondo te ai punk e ai new wave italiani?

L’effetto fu straniante per tutti. Lo acquistai in tempo reale, nel periodo natalizio del 1980, pochi giorni dopo l’uscita. E non riuscivo a credere che i Clash potessero fare funk, disco, cose così “commerciali”. Ma fui consapevole fin da subito che si trattava di qualcosa di molto importante anche se non riuscivo a capirlo. Ci vollero mesi per farmelo piacere. Il fascino di un disco del genere è che 40 anni dopo, ad ogni ascolto, ci trovo sempre cose nuove.

Il tuo libro mi sta facendo ricredere rispetto all’idea secondo la quale Sandinista! sarebbe stato meglio come doppio che come triplo, “come se fosse possibile frazionare un’opera d’arte, tagliare un pezzo di quadro o eliminare una parte di una statua”. Nonostante ciò Sandinista!, essendo composto da 36 canzoni, invita alla selezione. Ti chiedo quindi se mi elenchi i tuoi 5 preferiti di Sandinista.

La bellezza di queste opere, dal White Album dei Beatles a All things must pass di Harrison o Zen Arcade degli Husker Du, per esempio, è che sono concepite in quel modo dall’artista e pertanto oltre a dovere essere rispettate, sono affascinanti proprio per questo. I miei preferiti sono nell’ordine Broadway, The Magnificent Seven, Somebody Got Murdered, One More Time, Charlie Don’t Surf. E come disse Joe: “There are some stupid tracks, there are some brilliant tracks. The more I think about it, the happier I am that it is what it is.

Delle 36 canzoni che compongono Sandinista! solo di una hai inserito la traduzione del testo. Cosa rappresenta Something About England, e come nacque?

È uno dei brani più politici dei Clash, una riflessione sulla storia tormentata dell’Inghilterra, le sue guerre, i problemi sociali, accompagnato da un sound da music hall, peculiare della tradizione inglese. Veramente geniale. Impostato su un dialogo tra Mick e Joe che impersonifica un veterano della prima guerra mondiale. Il finale è raggelante per quanto sia stato profetico:
“Le strade erano ormai deserte
Le gang si trascinavano verso casa
Le luci si spensero nelle camere
E la vecchia Inghilterra rimase sola”

Qual è stato il rapporto dei Clash con lo ska?

È noto come la band sia da sempre stata innamorata del reggae, componente essenziale del loro sound e tra i primissimi a traghettarlo nel punk e nel rock. Lo ska fa capolino raramente ma era amatissimo dalla band. Tra le cover registrate e non inserite in Sandinista! c’era anche Madness di Prince Buster.

Una cosa che ammiro di tutti i tuoi lavori è la capacità di fare i conti con la storia in modo autorevole senza cadere nella nostalgia, ho notato questa cosa anche nel tuo recente libro Punk. Come si fa a mantenere uno sguardo aperto sulla contemporaneità con un passato così ingombrante alle spalle?

Ho fatto tesoro di quanto mi hanno insegnato il Punk e il Mod. Dal primo il concetto di vivere bruciando il momento. Vivere ogni istante come se fosse l’ultimo, scusa la banalità. Del secondo il costante slancio verso il futuro, le cose nuove. Io continuo a entusiasmarmi all’ascolto di Clash o del Northern Soul classico ma, nello stesso momento, trovo splendidi gli Sleaford Mods, Fantastic Negrito, Igorrr o la nuova scena jazz inglese che mischia jazz classico, elettronica, hip hop, funk e tanto altro. Radici nel passato ma sguardo costante al nuovo. A ciò che succede ORA.

2 Commenti

  1. Enri1968

    Buon proseguimento di 2021, ho preso il libro di Antonio e proprio da un oretta sto ascoltando Ssndinista!
    Che sincronicita’.

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    1. Gabriele Cavalera (Autore Post)

      Goditelo, siamo tra i 100 fortunati ad avercelo! Buon 2021 e viva i Clash

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