Stili Ribelli è una serie scritta e diretta da Lara Rongoni che sarà in onda su Sky Arte il 6, 13 e 20 maggio a partire dalle 21:15.
Stili Ribelli è una serie sulle sottoculture, sulla musica e sugli artisti legati alle varie scene, ma il punto di vista scelto per raccontare questo mondo è inedito, ed è quello degli accessori di culto che hanno caratterizzato queste sottoculture. Una decisione così risulta azzeccata, perché se è vero che l’espressione di se stessi e delle proprie passioni passa sempre attraverso lo stile e i simboli, questo è vero a maggior ragione nelle sottoculture. Pensiamo a quello che significa una Fred Perry per un mod o uno skinhead. Quel capo acquisisce un valore enorme esclusivamente in funzione del significato che, per ragioni storiche e culturali, gli è stato attribuito.
Stili Ribelli, la struttura della serie e le puntate
Stili Ribelli sceglie alcuni accessori di culto e li utilizza per leggere le sottoculture e la società all’interno della quale questi movimenti si sono sviluppati. Ogni oggetto o capo d’abbigliamento caratterizza una puntata, sei totali. Il chiodo “indumento perfetto”; gli occhiali da sole simbolo di stile ma anche mezzo per oscurarsi sul palco e nella vita; la minigonna elemento di emancipazione; le bretelle capo imprescindibile nel guardaroba di un uomo; gli stivali, fondamentali per il glam e per gli skinhead; infine l’impermeabile, dal trench di Humphrey Bogart fino al parka simbolo dei mod.
Ogni puntata comincia parlando dell’accessorio protagonista, ad esempio gli occhiali da sole, accennando alla storia e all’origine dell’oggetto in questione. Tanti sono gli aneddoti, interessante scoprire che il trench era un indumento inizialmente usato nelle trincee di guerra, divertente inoltre venire a sapere che “far vedere le bretelle, fino a qualche tempo fa, per un uomo, era una cosa impensabile, un po’ come per una donna far vedere il proprio reggiseno in pubblico“.
Dopo questa breve introduzione in ogni puntata c’è spazio per le interviste e per un po’ di narrazioni di musica e società. E questo è il vero punto di forza della serie, che ci offre la possibilità di ascoltare le opinioni di figure davvero interessanti, tanto per fare alcuni nomi: Kenney Jones, Glen Matlock, Suzi Quatro, Philip King, Pauline Black. Parlare di capi di abbigliamento porta spesso i protagonisti di Stili Ribelli a raccontare se stessi in modo più intimo, a descrivere come si è scoperto quell’accessorio e il significato personalmente attribuitogli, questo permette agli artisti intervistati di rilasciare opinioni meno scontate e più originali del solito. Tuttavia, pur partendo da uno specifico articolo, la prospettiva si amplia sempre e ogni artista racconta un tassello della propria vicenda, ed è sempre un piacere sentire raccontare pezzi di storia dei Selecter, dei Sex Pistols o degli Small Faces.
Impossibile poi non parlare del contesto dell’epoca, di quello che ha significato in un certo momento preciso, ad esempio, indossare la minigonna. C’è spazio anche per delle riflessioni politiche, espresse attraverso il racconto del celebre Rock Against Racism.
Stili Ribelli contiene anche molte citazioni cinematografiche, ed è bene sottolineare questo aspetto perché le sottoculture hanno ampiamente attinto all’immaginario del cinema per creare i propri stili. Apprezzabili in particolare i riferimenti allo splendido L’uomo che amava le donne di Francois Truffaut e a Bella di giorno di Luis Buñuel.
Stili Ribellli presenta anche un’ottima qualità da un punto di vista tecnico. È poi importante sottolineare quello che significa riuscire a portare a un pubblico più ampio come quello di Sky Arte degli argomenti solitamente considerati di nicchia, questo è uno dei meriti di Stili Ribelli.
L’intervista a Lara Rongoni
Considerato il grande interesse per questa serie, ho deciso di sentire la regista Lara Rongoni, con cui ho avuto un confronto molto interessante.
Ciao Lara. Vorrei partire parlando di un programma radio che ho spesso ascoltato con piacere e di cui ricordo ancora bene varie puntate, Gli Scheletri nell’Armadio. La serie nasce da lì vero?
Sì, è partito tutto da lì. Io ed Eleonora Fatigati abbiamo avuto diversi programmi radio, e ad un certo punto ci è venuta l’idea di parlare di moda o, per meglio dire, di stile, parola che mi piace di più. Abbiamo deciso di partire da alcuni capi iconici usandoli come veicolo per raccontare le sottoculture musicali, per avere un approccio un po’ più “pop”. Il programma, Gli Scheletri nell’Armadio, è andato in onda su Radio Città del Capo per circa un anno.
Poi, dato che Il mio lavoro è quello di occuparmi di documentari e serie per la televisione ho pensato di adattare il format radiofonico al linguaggio televisivo. Così, nel 2016, dopo aver concluso la serie Rotte Indipendenti, (sulla musica indipendente in italia, trasmessa da Sky arte) ho proposto a Sky Arte il concept di Stili Ribelli. L’idea è piaciuta tantissimo e abbiamo cominciato gradualmente, con la casa di produzione bolognese Kiné, a costruire il progetto. I tempi sono stati lunghi, non solo perché si tratta di un progetto indipendente ma anche perchè tratta una tematica per la quale non è facile trovare fondi e sostegno.
Nella serie ci sono archivi di alto livello e Kinè ha fatto un lavoro produttivo pazzesco.
Questo mi sembra un punto interessante: riuscire a condividere con un pubblico più ampio cose che hai sempre comunicato a una platea di nicchia. Immagino che ciò sia motivo di grande soddisfazione per te.
Già! Anche perché ci sono molte persone che magari conoscono, per esempio, i Sex Pistols, senza avere idea dell’attitudine che caratterizza la loro musica; tanti conoscono questi gruppi ma in pochi sono consapevoli di quella che è stata la portata del punk. È stata una rivoluzione, ha cambiato in maniera netta il modo di fare musica e ha permesso di sentirsi liberi di esprimere le proprie idee, di sentirsi a proprio agio attraverso il proprio stile senza preoccuparsi del giudizio della società.
Oggigiorno indossiamo spesso capi iconici, come per esempio il chiodo, senza conoscerne la storia o quali icone lo hanno usato e perché, e senza domandarci come sia diventato per una serie di motivi simbolo di un epoca o di una certo tipo di cultura.
Stili Ribelli prova a rispondere a queste domande!
A tal proposito, che effetto ti fa vedere questi capi d’abbigliamento, o oggetti iconici, un tempo associati alle sottoculture, proposti oggi nei negozi delle più grande catene di abbigliamento?
Per quanto mi riguarda, tendo a ignorare la moda, semplicemente non la considero. Mi interessa lo stile, che è tutta un’altra cosa.
Mi viene in mente una frase che Sam Knee ha pronunciato alla fine della sesta puntata: “Lo stile è un concetto personale, viene dall’interno, si tratta dello spirito, della tua essenza più profonda. Le mode, invece, sono esterne alle persone”.
Esatto, lo stile è qualcosa che ti caratterizza nel profondo, è parte integrante delle sottoculture perché ha creato delle identità visive, un senso di appartenenza. C’è un forte legame fra lo stile e la musica. In passato molto più che oggi, ma sono convinta che tutte queste tematiche destino ancora molto interesse e valga la pena raccontarle.
Non temi che un approccio di questo tipo possa gradualmente condurci a vivere le sottoculture esclusivamente in modo nostalgico?
Le sottoculture appartenendo al passato sono già di per sé nostalgia, e a questo ci dobbiamo rassegnare. Ma c’è una cosa che si riattualizza sempre a prescindere dal tempo storico in cui viviamo, la nostra attitudine. Si può avere un’attitudune punk pur non avendo vissuto il ’77.
Di Stili Ribelli è importante sottolineare il fatto che non si tratta del classico documentario realizzato da chi ha un punto di vista esterno rispetto a un tema, e si limita a raccontarlo con distacco. Sei sempre stata dentro le sottoculture e questo rende il tuo punto di vista autorevole e credibile.
Si, sono convinta che se il punto di vista fosse stato differente probabilmente il risultato sarebbe stato un altro. È chiaro che, per questioni anagrafiche, non ho avuto esperienza diretta di alcuni momenti storici che ho raccontato. Ho discusso proprio di ciò con Jordan e lei mi ha detto una cosa importante: la cosa fondamentale è quello che ci ha lasciato in eredità un certo movimento, nel caso del punk è aver cambiato un po’ le regole imposte dalla società, aver aperto le menti e aver dato la possibilità di sentirsi liberi di essere sé stessi, di non farsi condizionare dalla morale vigente.
Una cosa che mi ha colpito tanto, e che ti invidio, è il fatto che tu abbia avuto l’opportunità di incontrare figure davvero interessanti: Pauline Black, Glen Matlock, Kenney Jones, Suzi Quatro e così via. Come è successo?
Innanzitutto la produzione ha fatto un ottimo lavoro, mi riferisco in particolare alla produttrice Elisa Trento.
Alcuni contatti ce li ha forniti Paul Gorman, giornalista e autore di libri come Look. Avventure della moda del pop-rock e amico di Malcolm Mclaren, ovvero Glen Matlock e Jordan. Divertente è l’ aneddoto su come abbiamo trovato Suzi Quatro: Elisa ha scritto una mail al contatto presente sul suo sito e ha risposto Suzi in persona dopo pochi minuti!
In genere però i contatti sono stati gestiti tramite management e ufficio stampa. Ad esempio, Kenney Jones ha scritto un libro di recente (tra l’altro me l’ha regalato ed è davvero interessante) e quello è stato il “gancio” per prendere contatto con lui. Lo abbiamo incontrato nel Polo Club di sua proprietà, frequentato fra gli altri da Carlo d’Inghilterra. Il giorno precedente c’era stata una festa (si percepiva che avevano “rockeggiato”), ad accoglierci è stata sua moglie, gentilissima, con brioche e cappuccino preparati da lei. Durante l’intervista mi sono scusata con lui per il mio inglese non perfetto, e lui mi ha detto “Lo parli meglio di me!“. Questo perché Kenney è un autentico ragazzo di strada con un linguaggio e un modo di fare molto umili!

La troupe di Stili Ribelli a Londra
Per quanto riguarda Pauline Black dei Selecter invece? Le hai dato molta rilevanza, e non posso che approvare questa scelta.
Quella con Pauline è stata un’intervista bellissima. Lei è una persona stupenda ed è venuta di proposito a Londra per noi, ci siamo incontrati al pub Lexington, nel quartiere di Islington, luogo in cui fanno anche molti concerti punk. Ci lavora una mia amica e ne abbiamo approfittato. Pauline Black è stata molto disponibile e abbiamo chiacchierato di tante cose per delle ore. Pensa che a fine chiacchierata è stata lei a ringraziarmi e a dirmi “Grazie per l’intervista!“.
Nel complesso, devo dire che tutti gli artisti intervistati sono stati estremamente disponibili ed entusiasti.
Ho poi molto apprezzato gli interventi di un personaggio che onestamente non conoscevo, Silvia Vacirca.
È una persona davvero preparata. Ha fatto l’università a Bologna, poi ha proseguito con diversi master. Ora insegna moda alla Sapienza ed è ospite di tanti convegni in giro per il mondo. Silvia non si occupa prettamente di sottoculture, ma è talmente preparata che è riuscita a dire la sua persino su Noddy Holder!
Infine, fa sempre piacere risentire Antonio “Tony Face” Bacciocchi, che qualche tempo fa ha scritto su questo sito un interessante articolo sul rapporto tra mod e ska.
Avevo già conosciuto Antonio in altre occasioni e sia lui che la moglie, Rita Lilith, sono persone stupende, di grande umanità e cultura. Ci tengo a ringraziarli. Hanno vissuto tantissime esperienze, Antonio è poi bravissimo a scrivere, macina libri e dischi e di cose da raccontare ne ha tante. Sarebbe stato impossibile fare a meno di lui.
Un legame con la contemporaneità all’interno di Stili Ribelli è rappresentato dalla canzone che accompagna tutte le puntate della serie, Teenage Rebel dei Giuda. Non dimenticherò mai quello che provai ascoltando Teenage Rebel la prima volta alla presentazione di Let’s Do It Again al Blackout di Roma nel 2013. Tra l’altro Lorenzo Moretti appare come consulente musicale in Stili Ribelli.
Teenage Rebel è uno dei pezzi dei Giuda che mi piacciono di più. E ho sempre detto a Lorenzo (chitarrista dei Giuda e compagno di Lara, ndr) che l’assenza di quel pezzo nella scaletta era un errore! Mi ha promesso che l’avrebbero inserita di nuovo, forse l’uscita di Stili Ribelli finalmente lo convincerà. Tra l’altro Lorenzo ha lavorato alla serie come consulente musicale, è una persona che ha una cultura musicale incredibile nonché un collezionista di vinili di categoria n° 1!
Per finire, secondo te, c’è possibilità di fare una seconda stagione di Stili Ribelli?
Mi piacerebbe tantissimo, gli spunti sono numerosi e ci sono ancora molti oggetti iconici che potremmo raccontare, e lo stesso vale per le persone che avrei voglia di intervistare. Aspettiamo di vedere come va la prima stagione, speriamo piaccia al pubblico e poi chissà…

Lara Rongoni