Derrick Morgan: storia, gioia e perseveranza. Sono le prime parole che mi vengono in mente pensando a una delle figure chiave della scena ska. Storia perché senza di lui nulla sarebbe stato com’è, gioia perché è difficile trovare artisti che si divertono e sono realmente felici su un palco dopo tanti anni di carriera, perseveranza perché Derrick non arretra di un centimetro nonostante le enormi difficoltà di salute che lo affliggono sin da giovane.
L’annuncio di Derrick Morgan a Bologna era arrivato con largo anticipo, e il “matrimonio” con Bologna City Rockers è stato effettivamente perfetto come preannunciato. Un ampio cartellone di artisti e una serata che, ancora una volta, pur avendo avuto come protagonista la musica, ha avuto il merito di andare oltre la musica, assumendo quasi la forma di un eterogeneo e aperto “raduno” delle sottoculture italiane.
Le serate al Sottotetto SoundClub, con Bologna City Rockers, cominciano sul tardo pomeriggio. In questa occasione sono ben sei i gruppi che fanno compagnia a Derrick Morgan: Le iene, Ivanoska, Jamaican Mood, Le Tremende, Boundless Ska Project e Arpioni; di tutti loro abbiamo già avuto modo di parlare nell’approfondimento dedicato alle band della seconda edizione in levare di Bologna City Rockers. Tutti si sono espressi con il massimo entusiasmo, tra questi gli Arpioni, che hanno avuto il privilegio di salire sul palco dopo Derrick Morgan.
Nel “pre” Derrick c’è tempo per chiacchierare, salutare gente venuta da varie parti d’Italia, scoprire libri e dischi presenti gustando la piacevole attesa che precede un evento di questo tipo.
Quando arriva il momento dell’entrata in campo del Nostro la sala è stracolma e la tensione comincia a farsi sentire. Salgono sul palco prima gli Skankin’ Time, band di accompagnamento, che ha modo di esibire la propria autorevolezza musicale. Il suono è compatto, la band affiatata ed evidentemente navigata. C’è tempo per qualche classico strumentale ska, e a un certo punto una donna introduce con una certa emozione la leggenda che sta per entrare.
Come è noto, Derrick Morgan è non vedente. La malattia lo colpì da giovanissimo, e anche se si è sviluppata gradualmente, sin dagli anni ‘70 Derrick Morgan era cosciente che con il passare degli anni avrebbe perso gradualmente la vista fino a diventare cieco.
È per questo che il Nostro sale sul palco molto lentamente. Passo dopo passo, accompagnato dalla moglie, sulle note di Reggae Train, Derrick inizia a prendersi la scena; “Hi, I’m Derrick Morgan”. La sua figura è imponente, sia in senso metaforico che letterale. Derrick, oltreché leggendario, è infatti alto e robusto. A colpirmi è l’espressione in viso; un sorriso enorme e sincero che non riesce a trattenere. L’espressione è quella che si ha quando si è giovani e ci si esibisce per le prime volte davanti a un pubblico maestoso, con la differenza che Derrick Morgan ha 79 anni e di concerti alle spalle ne avrà migliaia.
Pur non potendoci vedere è in grado di sentire benissimo, e la sua espressività in volto, di riflesso, ci restituisce tutto il nostro calore: la serata non poteva partire meglio. Via il cappello per omaggiare il pubblico e poi si comincia con una serie di classici spediti legati alla storia ska di Derrick Morgan. Pezzi come In My Heart, Don’t Call Me Daddy e Miss Lulu sono travolgenti. Dopo le prime canzoni Derrick Morgan si ferma per qualche minuto, ride e sorride dimostrando di sapersi divertire sinceramente.
L’atmosfera si riscalda ulteriormente con The Conqueror e soprattutto con Tougher Than Though. Questo è un pezzo che ci vede particolarmente coinvolti, per la storia e per il contenuto, un inno all’orgoglio dei “rude boys” composto da slogan tanto semplici quanto emozionanti e condivisibili. Il giro di basso è ipnotico, avremmo voluto restare con Derrick a urlare “Rudies don’t fear!” per ore e ore.
Tra un classico e l’altro ci avviciniamo alla fine, quando arriva il momento dei gloriosi Moon Hop e Blazing Fire. Il primo è uno skinhead reggae che ha probabilmente ispirato la celebre Skinhead Moonstop di Mr. Symaryp, il secondo è forse il più energico di Derrick Morgan, canzone che sancisce in modo definitivo e inequivocabile la rivalità con Prince Buster, “Live and let others live and your days will be much longer“.
In scaletta si sente un po’ la mancanza di Forward March, il singolo più affascinante nella carriera di Derrick Morgan perché dedicato all’indipendenza giamaicana, che auspicava una liberazione psicologica ancora prima che politica, “Don’t be sad and blue, the Lord is still with you / Because the time has come when you can have your fun / So make a run, we’re independent“. Poca cosa, comunque, rispetto all’immensa bellezza che Derrick Morgan ha saputo regalarci.
Avevo già visto Derrick Morgan al The London International Ska Festival 2018, tuttavia l’esperienza di Bologna è stata nettamente superiore. Un po’ perché avere in casa propria un artista così è di certo un valore aggiunto, ma soprattutto il merito è stato dell’atmosfera e dell’entusiasmo generale che ha caratterizzato la nostra esperienza, entusiasmo che Derrick ha sentito e fatto suo.
C’è infine un aspetto umano che è importante sottolineare: abbiamo già accennato alla storia toccante di Derrick Morgan, ma chi ha visto il live non avrà potuto fare a meno di notare il coinvolgimento della moglie. Visibilmente emozionata, la donna ha vissuto il concerto da protagonista direttamente dal palco, accanto al tastierista degli Skankin’ Time, non potendo fare a meno di fare continuamente video al pubblico e a suo marito.
Dopo il concerto la serata è andata avanti fino alla chiusura con un dj set che ha visto la sala stracolma fino alla fine, chiudendo in modo glorioso un evento già perfetto e indimenticabile.