Nonostante dei Madness si sia parlato spesso all’interno di questo blog, anche in occasione della venuta dei Madness in Italia nell’ottobre del 2017, questa era la mia prima volta. E come tutte le prime volte, ha avuto un sapore speciale.
Nel tardo pomeriggio, ancora sotto shock per il forzato ritiro di Vincenzo Nibali al Tour de France, parto in buona compagnia alla volta di Igea Marina: ad accoglierci è una Rimini in scala ridotta in cui si respira un’atmosfera estremamente rilassata.
Mi colpisce subito l’ordine e l’organizzazione di questa città: in zona concerto il passaggio ai veicoli e stato chiuso e il livello di tranquillità è incredibile. A sorprendermi positivamente è anche il luogo del concerto, molto differente da come lo aspettavo. Sicuramente più piccolo, ma anche per questo particolarmente affascinante; incantevole il palco che dà sul mare e il pubblico che lo osserva da un luogo privilegiato quale è l’elegante spiaggia in cui si tiene il tutto.
Il luogo è il Beky Bay e il festival all’interno del quale è inserita la serata che sancisce il ritorno dei Madness in Italia si chiama, non a caso, “Sullasabbia”.
Non ci si sente schiacciati, l’ambiente è piacevole e questo è un fattore determinante per la buona riuscita di una serata, come abbiamo avuto modo di scoprire in tante altre occasioni.
In apertura ci sono i Matrioska, band ska-punk italiana. Prima dell’inizio dell’atteso concerto dei Madness in Italia sotto al palco ci sono poco meno di mille persone. L’attesa è lunga ed è proprio quando l’ansia pre-concerto ha raggiunto il suo apice che i nostri salgono sul palco.
Ad accompagnarmi è la solita sensazione che provo tutte le volte in cui ho davanti una band che rientra nella mia personale e speciale categoria delle leggende, che si ripropone nel caso dei Madness in Italia: incredulità mista a gioia con un pizzico di confortevole malinconia.
In quanto a componenti, i Madness non si risparmiano nelle esibizioni dal vivo. La band è enorme, probabilmente la stessa identica formazione utilizzata per registrare in studio. E questo è un gran valore aggiunto, che si percepisce in modo evidente sin dall’apertura, affidata a One Step Beyond. L’esecuzione risulta un po’ più lenta, ma sempre eccellente, e il sax di Lee Thompson (in copertina, foto Michele Morri) ha un sapore mitico.
Quella dei Madness in Italia è un’apertura appassionante perché rende l’esibizione estremamente viva sin da subito. Suggs sprizza simpatia come sempre, e non risparmia qualche espressione in italiano, lingua a lui familiare considerato che passa alcuni mesi dell’anno in Salento. Dopo l’apertura tocca ai classici Embarrassment e The Prince.
NW5 rappresenta uno dei momenti più intensi della serata. Tratta dal relativamente recente The Liberty of Norton Folgate, nel suo testo emerge il sentimento preferito dai Madness dopo l’ironia: la nostalgia.”One thing remains, that’s for certain / I will love you all my life / But without you in my life“. Il titolo fa riferimento al codice postale di Kentish Town, quartiere di Londra in cui è nata la band.
È poi la volta della doppia My Girl. La prima, l’originale del 1979, dall’album di debutto One Step Beyond…, e poi il relativo seguito, My Girl 2, tratta da Oui Oui Si Si Ja Ja Da Da del 2012, disco che in copertina presentava un lavoro di Peter Blake, autore anche della copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles.
In sequenza, poi, ascoltiamo la più inquieta Take It Or Leave It, la corale The Sun and the Rain, la strumentale The Return of The Los Palmas 7, l’energica Shut Up, l’incantevole Bed and Breakfast Man cui fa seguito la sorprendente versione di I Chase The Devil (Ironshit) di Max Romeo.

Lee Thompson e Suggs, foto Michele Morri
Con Mr. Apples ascoltiamo finalmente un pezzo dall’ultimo Can’t Touch Us Now, si tratta dell’unica canzone in scaletta tratta da quell’album, e questa è di certo la cosa più sorprendente della serata.
Impossibile, a tal proposito, non aprire una parentesi scaletta.
Non riesco a spiegarmi qual è il motivo per cui i Madness abbiano deciso di snobbare il loro ultimo lavoro, che ha ottenuto ottimi riscontri sia in termini di successo commerciale che in termini di critica. Almeno un paio di pezzi tra Don’t Leave the Past Behind You, Herbert, Another Version of Me, Can’t Touch Us Now e Good Times sarebbero dovuti assolutamente essere presenti in scaletta.
Lo stesso vale per la quasi totale assenza di canzoni da Oui Oui Si Si Ja Ja Da Da (il singolo Never Knew Your Name, tratto da questo lavoro, è uno dei più grandi successi dei Nutty Boys da trent’anni a questa parte) e da The Liberty of Norton Folgate. Questi due album, insieme a Can’t Touch Us Now, vanno a comporre quello che potremmo definire come il “trittico della rinascita” dei Madness.
A essere decisiva in questa scelta è stata sicuramente la voglia di rassicurare il pubblico e di non rischiare, scelta che personalmente non condivido. E dato che siamo stati privati di molti di questi pezzi nel live, ascoltiamone almeno uno ora.
La chiusura è un seguito di grandi classici. Prima House of Fun e Baggy Trousers. Poi Our House e It Must Be Love, ed è difficile non avere la pelle d’oca nell’ascoltare finalmente dal vivo questi due capolavori.
I Madness si ritirano, e si comincia a intuire che la durata del concerto è un po’ più breve di quanto ci si aspettasse, si aggira infatti intorno all’ora e venti. Poco importa però perché gli eroi tornano dopo pochi minuti per regalarci la canzone di Prince Buster da cui prendono il nome, Madness, e poi l’esplosiva Night Boat To Cairo, che dà vita a un ballo collettivo che avremmo voluto non finisse mai.

Foto Michele Morri

Foto Michele Morri
La scaletta:
- One Step Beyond
- Embarrassment
- The Prince
- NW5
- My Girl
- My Girl 2
- Take It Or Leave It
- The Sun and the Rain
- The Return of The Los Palmas 7
- Shut Up
- Bed and Breakfast Man
- I Chase The Devil AKA Ironshit
- Mr. Apples
- House of Fun
- Baggy Trousers
- Our House
- It Must Be Love
- Madness
- Night Boat To Cairo