In occasione della tappa bolognese del tour estivo, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare i Bluebeaters, che si sono raccontati anticipando i loro nuovi progetti.
Quella dei Bluebeaters è una storia che viene da lontano, e comincia nel 1994 quando a Torino si forma una band che si sarebbe dovuta esibire per una sola notte. In realtà il gruppo va avanti e verso la fine degli anni ’90 esplode grazie al glorioso The Album, cui seguirono Long Playing, Boogaloo e Combo. Con la decisione da parte di Giuliano Palma di intraprendere la carriera solista la formazione della band si modifica, e il primo risultato del cambiamento è l’ottimo Everybody Knows, uscito nel 2015. Da allora i ragazzi sono stati in tour per tutta Italia e a fine 2018 dovrebbe uscire il loro prossimo album che, come spiegato durante l’intervista, sancirà la parziale rinuncia alle cover e sarà musicalmente più eterogeneo.
Il concerto al BOtanique di Bologna ha confermato l’eccellenza rappresentata dai Bluebeaters, capace di tenere il palco come pochi altri gruppi. Si rimane in particolare impressionati dall’entusiasmo trasmesso e dal talento individuale, non sono infatti mancati una serie di assoli impressionanti. La scaletta è stata principalmente incentrata su Everybody Knows, ma ci è stato spazio anche per una serie di classici, tra cui – in chiusura – lo splendido ed emozionante There’s A Reward.
Innanzitutto complimenti per il concerto, non vi vedevo da un paio di anni. L’ultima era stata al Freakout di Bologna e la precedente al Babilonia, in Salento.
Grazie! Quello al Freakout è stato un bel concerto, molto “punk” e sudato. Il contesto era perfetto, dimensione da club. E anche al Babilonia andò molto bene, un posto bellissimo.
In merito alla resa di ciò che componete in studio dal vivo, che differenza c’è tra la band in studio e quella nei concerti?
Siamo sempre gli stessi, questo ci permette di fare cose in studio che poi possiamo suonare molto bene nei live. In studio ci può essere qualcosa in più rispetto alle esibizioni dal vivo, ma nulla che ne comprometta la qualità.
La voce relativa al nuovo album dei Bluebeaters, dopo il riuscito Everybody Knows, è in giro da un po’ di tempo. Come stanno le cose?
Diciamo che i Bluebeaters hanno un po’ di “travagli”, una vita e in alcuni casi un altro lavoro oltre la musica. Mettere insieme le esigenze di tutta la band, che vanno rispettate, non è sempre immediato. In alcuni periodi inoltre abbiamo avuto maggiormente il bisogno di suonare dal vivo, anche per avere un riscontro tangibile di quello che facciamo.
Che cosa significa fare un nuovo disco?
Fare un disco comporta uno “stop” in tutti i sensi: dai concerti agli introiti, per un impegno che può durare anche un anno. Succede che ci si ferma per sei mesi, si registra il disco, se ne gestisce ogni aspetto, si fa uscire il primo singolo per vedere cosa succede e così via. Per ora abbiamo tirato dei “sassi nello stagno”, alcune cose sono andate bene, altre un po’ meno, ma ci è servito per capire la nuova idea su cui dobbiamo lavorare.
Quale?
Integrare dei pezzi inediti a quello che sono sempre stati i Bluebeaters. Non un cambio radicale, ma un “meticciato” dei Bluebeaters classici e di novità. Abbiamo anche trovato tanti autori e artisti che vogliono lavorare con noi.
In effetti, mi pare che i nuovi singoli anticipino qualcosa: innanzitutto il desiderio di mettersi a lavorare sugli inediti, e poi una svolta musicale un po’ più “pop”.
In parte sì, una sorta di aggiornamento. Si tratta anche di uscire dallo schema classico dei Bluebeaters, che va benissimo ma, visti anche i cambiamenti di formazione che abbiamo vissuto, c’è voglia di novità e di suonare i nostri pezzi.
Sarebbe molto interessante ascoltare un album con i vostri inediti.
Dopo ci dirai cosa pensi di questi inediti che finora abbiamo pubblicato!
Ve lo dico subito: ascoltando, per esempio, un pezzo come Tempo ho provato una sensazione di sorpresa, non immediatamente positiva. Una sensazione paragonabile a quella che generalmente provo quando un’artista o un autore che ammiro produce qualcosa di differente rispetto all’immagine che mi sono creato di lui. All’inizio, quindi, c’è una sorta di blocco, forse una delusione. Se poi il risultato è buono, al di là degli stereotipi, comincio ad apprezzarlo, e questo è quello che è successo con Tempo.
Ti capiamo perfettamente, perché questo stesso effetto ce l’abbiamo avuto anche noi come band!
Tra l’altro, storicamente, il cambiamento è qualcosa che vi riguarda profondamente, considerato che alcuni di voi vengono dall’esperienza dei Casino Royale, che di cambiamenti musicali ne hanno vissuti non pochi. Cambiare è in qualche modo il vostro mestiere.
Crediamo, in fondo, che cambiare sia il mestiere di tutti. Noi suoniamo la musica che ci piace, che è certamente lo ska, ma anche tanto altro. Il bello è che ogni volta che sperimenti qualcosa di nuovo ti porti dietro ciò che hai fatto prima, da lì nascono le contaminazioni. Ma poi, che significa “fare un genere”? Anche lo ska stesso era frutto di contaminazioni.
Sono d’accordo: basti pensare che Rosco Gordon, che tanta influenza ha avuto sulla musica giamaicana, era americano.
Proprio così!
A proposito di cambiamenti, l’arrivo di Pat alla voce, dopo un periodo di stop dai Bluebeaters, è stato importante.
Sì, ma è stato importante ma anche in funzione di quello che voleva la band. Ci siamo detti, insieme, quello che volevamo e quale era la strada da percorrere. Ognuno di noi si è ritagliato il proprio spazio, dopo un po’ di rodaggio ci siamo assestati, e l’esperienza di Sanremo ci ha aiutato.
A Sanremo ci siete stati due volte, vero?
In due vesti differenti. Una nel 2016 insieme a Neffa, come ospiti nella serata delle cover, per cantare ‘O Sarracino, pezzo che ci portiamo ancora dietro nei live. Questa cover, tra l’altro, è nata proprio qui a Bologna, dove l’abbiamo registrata, alla Fonoprint.
Nel 2018 siamo poi stati al DopoFestival per tutta la settimana, interagendo con gli artisti sanremesi, con cui interpretavamo pezzi loro o classici.
Del DopoFestival ho trovato molto bello il live con Nina Zilli. Nel complesso dev’essere stata stata una bella soddisfazione, per non parlare del fatto che essere backin’ band in quel modo è un qualcosa che vi riguarda molto, nello stesso modo in cui riguardava, più di sessant’anni fa, tante backin’ band giamaicane.
Esatto!
Cambiando argomento, qual è il vostro rapporto con le sottoculture qui in Italia?
Abbiamo avuto un passato legato a quel mondo soprattutto con i Casino Royale, son legami che ti porti dietro per sempre.
Con i Bluebeaters è stato diverso?
I Bluebeaters sono nati come una band che faceva le cover, un po’ come gli Skatalites negli anni ’60. L’obiettivo era quello di prendere delle canzoni già esistenti e portarle “verso di noi”, da un punto di vista musicale. Ovviamente il contesto tra la nascita dei Casino Royale e quella dei Bluebeaters era molto diverso, soprattutto dopo i primi anni i Bluebeaters risultavano un po’ più pop, c’era l’idea di voler andare per radio ed è servito a tutti. Far arrivare la cultura giamaicana su tutte le radio o in Tv non è stata cosa da poco.
Vorrei chiudere parlando di collaborazioni, perché ce n’è una che mi interessa particolarmente, ed è quella con i BoomDaBash, gruppo che, da salentino, conosco bene. Credo che Il Sole Ancora sia un pezzo riuscito. Cosa ci dite di questa collaborazione?
È stata una bella collaborazione, sono stati direttamente loro a chiamarci e noi abbiamo accettato. C’è da dire, però, che speravamo quel pezzo andasse ancora meglio.
Il Sole Ancora è andato anche a finire nella colonna sonora del film Vengo Anch’io, commedia diretta da Corrado Nuzzo e Maria Di Biase. Con i BoomDaBash ci siamo esibiti solo una volta, al Babilonia, nel concerto che citavi all’inizio.
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