Intorno al 1967 il movimento mod si stava evolvendo: da una parte c’era chi sceglieva la strada della psichedelia, dell’estate dell’amore, dei baffi e dei capelli lunghi, dall’altra c’era chi rinforzava il proprio legame con i rudies delle Indie Occidentali, con tutto ciò che li riguardava in termini di musica ed immaginario culturale. E questi mods, che la stampa già iniziava a definire con disprezzo “Sawdust Caesars” (“Cesari di segatura”), o nel migliore dei casi “Lemonheads” (“Teste di limone”) o “Peanuts” (“Arachidi”) incontravano i giamaicani non solo nelle piste da ballo delle blues dance o nei negozi di dischi o vestiti, ma anche nei cinema. Ed in quegli anni i film che più forgiavano l’immaginazione dei mods, determinandone l’attitudine alla vita, erano i western italiani o, come gli americani li chiamavano tra l’ironico e il denigratorio, gli spaghetti western. Questi film non erano più, fortunatamente, i western americani alla John Wayne, con le loro vicende moralizzanti o le loro noiose storie d’amore. I western italiani di registi come Sergio Leone, Sergio Corbucci o Sergio Sollima erano diversi ed avevano tutto quello che mods e rude boys volevano vedere in un film: quella che a loro appariva, in modo un po’ ingenuo, come la realtà. In questi film, infatti, c’era sempre un eroe solitario vestito in modo impeccabile anche se coperto di polvere (e qui è impossibile non pensare al celebre Lee Van Cleef). Questo “modello” di eroe, freddo e determinato, si aggirava con la pistola in pugno all’interno di paesaggi tetri, deserti e inospitali. Lo scenario era più o meno sempre lo stesso: un sottofondo di campane che suonavano in lontananza scandendo le loro gesta, sabbia e rami secchi mossi dal vento, rapine, saloon pieni di alcol e prostitute e, non ultime, colonne sonore sontuose ed epiche. Sia sufficiente citare, a tal proposito, le grandi composizioni del maestro Ennio Morricone, oppure quelle di Riz Ortolani o di Bruno Nicolai, solo per nominarne alcuni.
Nei cinema di Kingston, non a caso, questi film erano stati messi al bando, considerato anche che nella Giamaica di quei giorni era incredibilmente facile procurarsi una pistola, e le conseguenze dell’eccitamento indotto da quei film, associato alla semplicità nel reperire armi, avrebbe potuto portare a conseguenze disastrose, e già c’erano non pochi precedenti. Certo, Londra non poteva di certo essere paragonata a Kingston. Anche se a quei mods, che cominciavano ad essere chiamati skinheads, piaceva pensare che non ci fosse poi tanta differenza.
Se quelli dei western italiani fossero eroi buoni o cattivi non è facile da dire, di certo c’è che ai kids dell’epoca piaceva immedesimarsi in quei personaggi, per alcuni semplici motivi: attori come Clint Eastwood, Eli Wallach, Franco Nero o il già citato Lee Van Cleef erano dei veri duri, uomini dalla faccia sporca, individualisti e cinici, non sempre mossi da motivazioni profonde quanto piuttosto dall’interesse personale. Erano uomini di poche e taglienti parole, che erano soliti farsi giustizia da soli a colpi di pallottole; basti pensare alle leggendarie scene finali fatte di duelli (o “trielli”, se a scontrarsi erano tre gunman) in cui non sempre il buono, quando era chiaro chi fosse il buono, vinceva.
Una delle cose più interessanti da sottolineare è data dal fatto che questo immaginario fu nutrito dai tributi che gli eroi musicali di quei ragazzi, ovvero gli artisti reggae, facevano ai film, agli attori o ai personaggi con i loro brani o anche con il loro look sulle copertine dei dischi. La più grossa testimonianza, in questo senso, è data dagli Upsetters di Lee Perry che dedicarono una lunga sfilza di album e canzoni al genere cinematografico: Return of Django, Clint Eastwood, For a Few Dollars More e Return of the Ugly sono solo alcune di queste. Ma l’elenco non finisce di certo con gli Upsetters, i Destroyers fecero uscire Franco Nero e Nevada Joe; King Stitt Lee Van Cleef; i Crystalites A Fistfull of Dollar, They Call Me Trinity, The Overtaker; gli Heptones Gunman is Coming to Town.
Ancora oggi gli spaghetti western continuano ad influenzare l’immaginario musicale reggae, è infatti di recente uscita un’interessantissima serie di singoli dal titolo Western Reggae Hits, da noi recensita.