Inna de Yard, recensione e streaming del nuovo album di Ken Boothe

Inna de Yard è l'ultimo album di Ken Boothe

Ancora sull’onda musicalmente emotiva delle due date di Ken Boothe in Italia, ho avuto modo di ascoltare il suo nuovo album Inna De Yard. Una piccola gemma in mezzo a tutta la pletora di produzioni che cercano di spremere sino all’ultima goccia storici artisti jamaicani, senza portare nulla di nuovo alle loro discografie.

Inna De Yard, pur proponendo i grandi classici di Mr. Rocksteady, è pervaso da qualità, da novità, da emozioni, come un po’ tutte le produzioni franco-jamaicane targate Inna De Yard. Vale la pena, a tal proposito, ricordare che questo progetto nasce concettualmente in Francia e concretamente a Kingston a metà degli anni 2000, con l’intento di riproporre in chiave più roots le produzioni di storici artisti giamacani, principalmente legati alla cultura rasta imperante nei 70’s.

La copertina di Inna de Yard, ulitmo albul di Ken Boothe
Si tratta di co-produzioni che si avvalgono di mitici cantanti e musicisti provenienti dalla nostra isola preferita (su tutti Kiddus I, Viceroys, Linval Thompson, Cedric “Congo” Myton, Junior Murvin e, soprattutto, il leggendario chitarrista Earl “Chinna” Smith). A questi si aggiungono professionisti francesi, fra i quali spicca il sassofonista Guillaume Briard, in arte “Stepper”, già membro dei Jamaica All Stars (Justin Hinds, Johnny “Dizzy” Moore, Sparrow Martin, Scully Simms) e della Sly & Robbie Band.

Ritornando alla sostanza dell’album, i brani vengono riletti sotto un’altra veste, semi-acustica ma pur sempre vibrante e potente, malinconicamente ancestrale grazie al background percussivo nyabinghi ed all’utilizzo di strumenti quali il flauto e la fisarmonica, senza dimenticare i backing vocals di gente come i suddetti Kiddus I e Cedric Myton.
I Am a Fool, Artbella, Black Gold and Green, When I Fall in Love e così via rivivono grazie a una magistrale freschezza. You Keep Me Hangin’ On, presentata da Ken Boothe nel 1968 su Coxsone come ennesimo omaggio e ponte musicale che lega Kingston alla Detroit della Motown (l’originale è un classico delle Supremes) rivive di una nuova potenza, senza che la voce di Mr. Rocksteady faccia trasparire indizi anagrafici: e le emozioni si concretizzano in brividi.
Punta di diamante, come sempre, I Don’t Want to See You Cry, che di per sè ha già tutte le qualità e gli stilemi per essere un perfetto brano pop, nel senso migliore dell’accezione. Una delle melodie vocali più affascinanti prodotte in 60 anni di musica made in Jamaica.

Leggi ili live report del concerto di Ken Boothe al Sottotetto Soundclub di Bologna: “L’autenticità nelle esibizioni dal vivo è rara, chi guarda molti live lo sa bene, è quindi importante riconoscerla ed apprezzarla quando la si incontra. E questo era uno di quei casi.

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