Quello di Ken Boothe al Sottotetto Soundclub di Bologna è stato un concerto incredibilmente intenso: lo splendore della sua voce è cosa nota, ma ascoltarlo da vivo è stato diverso, per motivi non solo musicali.
Prima di entrare nel merito del live report vorrei evidenziare alcuni aspetti della serata che mi hanno particolarmente colpito. Ho trovato infatti l’esibizione di Ken Boothe quasi mistica, spirituale, probabilmente la migliore tra la serie di cantanti giamaicani storici che ho potuto vedere dal vivo. Il primo fattore che mi porta a dire una cosa di questo tipo va ricercato nell’atteggiamento di Ken Boothe, che a me è apparso autentico. Pochi ammiccamenti facili al pubblico, libertà nel comportamento al punto che il Nostro ha parlato e si è raccontato senza troppi freni, muovendosi e ballando con uno stile non comune, in modo proprio e sincero. Tra una canzone e l’altra a volte sono passati vari minuti, che Ken si è preso per condividere con il pubblico le sue idee politiche, le sue emozioni, addirittura la sua passione per l’Italia, per Roma e così via. L’autenticità nelle esibizioni dal vivo è rara, chi guarda molti live lo sa bene, è quindi importante riconoscerla ed apprezzarla quando la si incontra. E questo era uno di quei casi.
L’immagine più bella di tutta la serata è emersa a metà concerto, e non aveva nulla a che fare con la musica: una pittoresca donna si affaccia più volte sul palco, guarda il pubblico, e durante un piccolo intervallo entra in scena per liberare Ken Boothe dal sudore, utilizzando un asciugamano. È stato un momento dolcissimo, sacro, difficile da rendere a parole. I due si sono guardati negli occhi e, mentre la donna si apprestava ad andare via, Ken Boothe l’ha indicata con palpabile orgoglio ed ha pronunciato due semplici parole: “My Wife!”
Parlando più specificatamente dell’esibizione, la serata è stata organizzata da Bologna Calibro 7 Pollici, Diwali Ent. e Jungle Army al Sottotetto Soundclub di Bologna; l’evento è stato aperto da Le Birrette, ottima band bolognese che con Ken Boothe ha un legame particolare. Dopo di loro sono entrati in campo Andy Mittoo & The Groove Makers, gruppo di supporto per la tappa bolognese del tour di Ken Boothe, i cui componenti sono riusciti a gestire bene la grande responsabilità cui era stato chiamati. Si parte con l’intro e poi ecco Rocksteady; ma è soltanto con Crying Over You che le vibrazioni nell’aria, e le emozioni, si fanno più intense. Il pezzo è stupendo, ed il calore della voce di Ken Boothe suscita in me un senso di gratitudine nei confronti di quest’artista incredibile. Non sono il solo a pensarla così: l’atmosfera tra il pubblico non è quella di un concerto qualunque, l’attenzione è molto alta. Siamo tutti coscienti di avere davanti un uomo immenso, consapevoli di stare vivendo un momento molto particolare all’interno delle nostre vite da appassionati di musica giamaicana, che potrebbe essere l’ultimo al cospetto di Ken Boothe che più volte, durante la serata, parla di “The Last show“, probabilmente facendo riferimento al fatto di avere a che fare con il suo tour conclusivo. Su questo, tuttavia, non ci sono ancora informazioni certe. Dopo Silver Love arriva un super classico, When I Fall In Love, che riscalda le voci ed il cuore di un pubblico profondamente coinvolto nell’esibizione, mentre The Train Is Coming, The Girl I Left Behind e Moving Away sono accompagnate da un sottofondo di nostalgia che ci riporta agli anni ’60, e ci ricorda una storia chiamata Studio One.
Con Set Me Free abbiamo a che fare con uno dei momenti più entusiasmanti della serata, il pubblico si muove un po’ di più, le braccia al cielo sono tante. Arriva poi l’ultimo singolo di Ken Boothe, Speak Softly Love, cover della colonna sonora de Il Padrino. Questo pezzo, che vanta anche un bellissimo video, negli ultimi tempi ci ha restituito l’immagine di un’artista che, nonostante l’età è il tempo che passa, è ancora in grado di raggiungere alti livelli musicali, con un timbro vocale che migliora con il passare del tempo.
Nei minuti successivi il ritmo aumenta perché c’è finalmente spazio per un po’ di ska prima con You’re No Good e poi Artibella, intervallate da due pezzi per me meno coinvolgenti, ovvero le relativamente recenti Journey e la filo-complottistica – trascurabile – New World Order. Prima della chiusura arriva la toccante ed intramontabile Everything I Own. Quando Mr. Rocksteady ritorna sul palco per il bis siamo colti felicemente di sorpresa: parte una parentesi storica con Ken Boothe che comincia a parlarci di Cristoforo Colombo e poi si esibisce in una canzone a lui dedicata, con un canto a cappella che, più che mai, mette in risalto l’unicità delle qualità vocali di Ken Boothe. Ci inchiniamo tutti davanti al suo talento: davanti e dietro al palco il pubblico è delirio. Dopo questa bellissima parentesi è il momento della chiusura vera, con Puppet On A String ed una gloriosa versione di Freedom Street che vorresti non finisse mai.
Foto di copertina: Michele Lapini
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