I giamaicani amano lo stile, ed in effetti la prima cosa che mi viene in mente pensando al concerto di Roy Ellis all’Estragon è il suo look: un completo rosso luccicante in doppiopetto, per una delle figure più pittoresche che io abbia mai visto. Ma partiamo dall’inizio. È il 16 Settembre ed a Bologna si tiene un evento non di poco conto, si chiama Partirò per Bologna e, attraverso la citazione di un celebre pezzo della Banda Bassotti, riunisce insieme una serie di band musicalmente molto diverse tra di loro ma legate da una comune storia che parla di politica e di attitudine. Ed una situazione simile si verifica felicemente tra il pubblico.
In quest’articolo, dato il tema del sito, mi soffermerò sul live di Roy Ellis, ma prima di cominciare è bene sottolineare l’imponenza di una serata del genere. L’Estragon di Bologna era ai limiti della capienza massima, il pubblico giunto da tutta Italia e sul palco abbiamo visto alternarsi Klaxon, Filippo Andreani & Atarassia Grop, The Gang, Assalti Frontali, Ghetto 84, Arpioni, Roy Ellis aka Mr. Symarip, Shots in the Dark, Banda Bassotti, Fermin Muguruza con dj set finale a cura di Bologna City Rockers.
Per gli appassionati di ska l’esibizione di Roy Ellis è ovviamente il momento più atteso. Prima di lui salgono sul palco gli Shots in the Dark, band romana attiva dal 1999 che da vari anni spalleggia il “boss” nei suoi concerti italiani. Non c’è un confine tra la fine del concerto degli Shots in the Dark e l’inizio di quello di Mr. Symarip, perché ad un certo punto Roy sale sul palco e si aggrega semplicemente alla band romana. Il suo stile è incredibile e, oltre alla sua apparenza, a colpire è la sua voce: intensa e colorita, sicuramente migliore di quella di molti altri suoi “colleghi” giamaicani che, comprensibilmente, col passare del tempo hanno visto calare in parte il proprio rendimento. L’età scalfisce Roy Ellis solo in parte, anche se per quel che ne so gli anni di quest’artista sono davvero un mistero, è infatti difficile trovare un’informazione certa sulla sua data di nascita, l’unico riferimento sicuro è la sua prima incisione, che risale al 1963.
Il primo pezzo che ascoltiamo è Wang You, uno dei suoi classici più noti. Dire Roy Ellis vuol pensare immediatamente all’immaginario delle sottoculture inglesi, in particolare quella skinhead, cui il nostro stilosissimo performer ha dedicato molte delle sue canzoni. La presenza di tanti skin tra il pubblico conferma questo fatto, e non stupisce vedere l’entusiasmo generale quando viene suonato uno dei suoi pezzi migliori, The Skinheads Dem A Come. L’atmosfera comincia a riscaldarsi.
One Way Ticket to the Moon è probabilmente il pezzo di Roy Ellis che preferisco in assoluto, uno ska puro e ballabile che entusiasma tutti i presenti. Non mancano i momenti più rilassati, lo skinhead reggae di Symarip è soprattutto questo: fiati dolci e orecchiabili con un ritmo contemporaneamente disteso ed energico caratterizzano canzoni come Come On And Dance With Me o I Don’t Want You, I Don’t Need You Anymore. Nel finale si va spediti, con due pezzi che non potevano mancare nella scaletta del Nostro, sto parlando ovviamente di Skinhead Girl e Skinhead Moonstomp.
Siamo a circa cinquanta minuti di esibizione, Roy abbandona il palco ed in tanti ci aspettiamo il bis che però non arriva. Il concerto è finito, rimane il desiderio di ascoltare qualche altro pezzo di Roy, perché ne avremmo voluto ancora, ma la momentanea delusione lascia nuovamente spazio all’entusiasmo per una serata che continua con la Banda Bassotti nel finale.
Un concerto entusiasmante, la voce di Symarip, il suo look e la sua storia fanno di lui una delle figura più affascinanti nella storia di quella musica giamaicana che ha saputo costruire un incantevole ponte con la “madrepatria” inglese, un ponte che ha dato vita a stili, musica ed attitudini che continuano ad influenzarci ancora oggi, e probabilmente lo faranno per sempre.
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