I Sound System in Giamaica (da “Bass Culture”)

I Sound System in Giamaica

“La gente del ghetto quando voleva divertirsi andava alle serate con il sound system. Non ci andavi per darti delle arie, ma per stare in mezzo alla tua gente. Era un momento importante. Certe volte nasceva qualche parapiglia, ma era abbastanza raro. Penso che essere ragazzo in Giamaica in quel periodo sia stata la cosa più bella del mondo. La gente si vestiva a festa, e quando si parla di mettersi in ghingheri nessuno può stare alla pari con la gente del ghetto. Si beveva un goccio e si ascoltava musica da sballo. Ci sentivamo una favola, sentivamo che tutto era possibile” (Derrick Harriot)

L’idea di sparare musica all’aria aperta (il migliore R&B o il jazz) dalla radio o dal giradischi con una parete di casse era diventata popolare verso la metà degli anni ’40 per attirare la gente di passaggio dentro i bar e i negozi. Anzi, i primi sound system e quindi le prime dancehall furono chiamati “set”, semplicemente perchè la strumentazione si era evoluta da quelle mastodontiche radio e dai colossali grammofoni. In effetti come strategia di marketing questi metodi raffazzonati funzionarono alla grande, tanto che alla fine del decennio la musica era spesso la vera ragione di una visita ad un esercizio commerciale. Del resto, dal momento che i transitor non erano ancora diffusi e i mobili radio andavano al di fuori della portata di quasi tutte le tasche, solo così tanti giamaicani potevano ascoltare un po’ di musica prodotta da un professionista. […]

Nel giro di una decina d’anni il sound system era diventato un vero fenomeno sociale, e il suo operatore, il sound-man, un pezzo grosso. […] Il system diventò una vibrante agenzia per cuori solitari, una sfilata di moda, una centrale di informazioni, una parata in cui verificare lo status sociale, un forum politico, un centro commerciale e, appena i dj cominciarono a parlare al microfono di argomenti che non fossero quant’era forte il loro sound system, o i dischi o se stessi e le proprie donne, il sound diventò anche il giornale del ghetto. […]

Lee Perry e Prince Buster

Un aspetto assolutamente cruciale furono le ricadute economiche. Le serate organizzate dagli uomini del ghetto portavano capitali freschi al giro ristretto di amici, ma anche alla comunità in senso lato, visto che richiamavano gente da fuori città o dagli altri quartieri e con soldi da spendere. […] Le strade attorno a un evento importante pullulavano di bancarelle che proponevano birra nazionale “jerk pork” e pollo, pasticci e pesce fritto, mentre gli ambulanti erano carichi di cocco fresco, canna da zucchero, banane e manghi. Era raro che un venditore non esaurisse tutta la mercanzia. Altrettanto si dica dei camion stracarichi di pericolanti montagne di cassette di birra Red Stripe o Heineken e di bevande gasate per i barettini improvvisati dentro e fuori l’arena. E per finire, alla fine della catena alimentare, tutti gli scolaretti con un minimo di sale in zucca si alzavano prima dell’alba e andavano a raccattare le bottiglie vuote per riconsegnarle a un penny l’una alla fabbrica. […]

I sound system in Giamaica

Una delle attrattive principali di una serata al sound system era la possibilità di partecipare facendo un baccano del diavolo. I dischi esclusivi di un particolare sound operator, che assumevano uno status tipo trofeo, o i vecchi classici, venivano accolti con un bell’applauso dal pubblico. I nuovi dischi che vivacizzavano sul serio il locale si concludevano con un fuoco di fila e grida tipo “lick it back” o “wheel and come again”, praticamente invocazioni di bis, cosa che poteva capitare decine di volte fin quando il brano faceva muovere il culo alla folla. Però se un disco era sbagliato e non piaceva, il pubblico si faceva sentire con la stessa intensità, tanto che si percepiva a stento la musica sotto il coro di ululati. Il dj doveva cambiare alla svelta! Una bella prodezza, visto che quei poveretti avevano un unico giradischi, quindi di fading incrociato non se ne parlava nemmeno. Facevano così: una mano teneva il disco da mettere tra mignolo, anulare e palmo; l’altra sollevava la puntina del vinile contestato; a questo punto la prima poteva toglierlo dal piatto usando pollice e indice e lasciando cadere il nuovo disco al centro con lo stesso movimento. A questo punto la seconda mano poteva riabbassare la puntina. Il rapporto tra il dj giamaicano e il suo pubblico era decisamente più intenso di quanto ci aspetteremmo normalmente in una discoteca. Una serata riuscita era un’esperienza collettiva, di reciproco apprezzamento fra dj e discepoli. […]

Soltanto i grossissimi sound operator potevano permettersi una gita negli USA per andare in cerca di dischi, quindi la maggior parte della musica arrivava grazie agli equipaggi dei mercantili e agli emigrati in vacanza che volevano arrotondare lo stipendio. […] Di solito i signori del sound system intavolavano trattative direttamente sulla banchina del porto con qualche nuovo arrivato dotato di spirito imprenditoriale. I pacchi con i singoli americani venivano barattati con qualche prodotto giamaicano rivendibile tipo rum, sigari di marca, caffè e ganja, o anche donne, o meglio, qualche oretta in loro compagnia. Infatti, molte delle più vivaci serate dei system si tenevano nei più rinomati bordelli di Kingston. […]

Quando i dischi arrivavano in Giamaica la data di uscita negli USA era un dettaglio irrilevante. Il vero valore stava nell’esclusiva, quindi lo strumento fondamentale per il sound-man che acquistava importazioni americane era la monetina. Una qualsiasi. Serviva per cancellare qualsiasi informazione stampata sull’etichetta. E bisognava anche fare in fretta perchè quando si trattava di scoprire l’identità di un vinile entravano subito in ballo lo spionaggio industriale, la corruzione dei dipendenti e ogni sorta di coercizione. Meno gente conosceva il vero nome di un pezzo da sballo meno era probabile che un rivale mettesse le zampacce su un’altra copia. Dopo che l’etichetta del disco era stata cancellata, capitava spesso che il pezzo “misterioso” fosse ribattezzato, di solito con un titolo che osannava il sound-man o il sound system che lo faceva passare. […]

I sound system in Giamaica

A metà degli anni cinquanta si aveva l’impressione che tutti i giovani di Kingston fossero diventati cantanti. Mentre i sound-man si dannavano per far arrivare la musica dall’estero, i teatri della città vedevano una fioritura di concorsi per scoprire nuovi talenti. […] Questi appuntamenti per talenti in erba erano la diretta conseguenza della musica portata alle masse dai sound system, la manifestazione tangibile di quella che Derrick Harriot definirà “la voglia di contribuire a far star bene la gente”. […] In una serata tipo c’erano dieci proposte in cartellone, cantanti, ballerini, comici, acrobati, tutto mischiato senza alcuna distinzione tra categorie. e la vittoria si basava esclusivamente sulla reazione del pubblico a ciascun concorrente quando usciva a fare l’inchino alla fine dello spettacolo. […]

Anche se tutti quelli che si piazzavano dietro un microfono sognavano di fuggire, grazie all’ugola d’oro, dalla trappola della miseria, in circostanze del genere quello era davvero un sogno. Non esisteva un piano realistico per andare dalle stalle alle stelle, visto che erano praticamente nulli gli sbocchi a parte le poche sterline di premio. In quegli anni in Giamaica non c’era nulla che somigliasse a un’industria discografica. […] Però si era alla vigilia di una grande svolta.

Il brano è tratto dal primo capitolo (pp. 15-28) del libro di Lloyd BradleyBass Culture. La musica dalla Giamaica: ska, rocksteady, roots reggae, dub e dancehall. Shake Edizioni, Milano, 2008. Le immagini sono tratte da Pinterest.

 

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