Il Reggae, il Punk, i Clash

Il  legame tra punk e reggae è più forte di quanto si possa pensare, e questo “gemellaggio” ha avuto la sua massima espressione nei Clash.

Agosto del 1976, Birmingham. Durante un concerto Eric Clapton afferma che la Gran Bretagna sta diventando una colonia nera. Quella stessa sera esprime apprezzamenti nei confronti del leader dell’estrema destra razzista britannica Enoch Powell, invitando il pubblico a votare per lui alle successive elezioni.

In risposta a ciò ed al generale emergere di violenze a sfondo razziale da parte di gruppuscoli e movimenti giovanili fascisti come il National Front, fu organizzata nel dicembre del 1976 la prima edizione della manifestazione musicale chiamata Rock Against Racism. Le successive edizioni videro suonare fianco a fianco i Buzzcocks e gli Steel Pulse, gli Sham 69 ed i Misty In Roots, gli Stiff Little Fingers e gli Aswad, i Clash e i Third World. Questi gruppi dimostrarono che la musica poteva essere molto più che semplice intrattenimento.

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In quel periodo, a Londra, in contemporanea all’esplosione del punk-rock, ci fu l’affermazione di un altro movimento musicale, intimamente legato al punk ma da esso autonomo. Questo movimento era rappresentato da una nuova ondata di reggae band anglo-caraibiche, la cui rabbia fu la controparte “black” dell’ondata di ribellione dei punk britannici. Tra queste band e questi artisti figuravano Steel Pulse, Aswad, Cimarons e Linton Kwesi Johnson. Si trattava di ragazzi giamaicani cresciuti, e spesso nati, nel Vecchio Continente, che cantavano la propria attuale realtà senza idealizzare l’Africa e Hailé Selassie (che nel frattempo era stato deposto dal trono etiope da una rivolta socialista), ma denunciando i propri disagi, la loro propria condizione di emarginati ed esclusi in quella che ormai era la loro casa, la Gran Bretagna.

Erano giorni caldi di ribellione, la cui colonna sonora era il reggae ed il punk. Varie punk band (come Clash, Ruts, Slits) suonavano, sia nei live sia nei loro album in studio, cover di brani reggae o pezzi originali influenzati da esso. Don Letts, allora resident dj del Roxy (“tempio” del Punk londinese), faceva ballare i ragazzi della “working class” con i suoi dischi reggae durante i concerti (Don Letts apparve anche sulla copertina di Super Black Market Clash). Su Radio1 c’era John Peel che trasmetteva pezzi del nuovo rock’n’roll, alternandoli con quelli in levare. Persino Bob Marley, che in quel periodo era a Londra, cantò quello strano e affascinante fenomeno di solidarietà nella sua Punky Reggae Party, in cui chiamava a raccolta alcune delle punk e reggae band dell’epoca per una grande festa ribelle (the wailers will be there/The Dammed, The Jam, The Clash/Maytals will be there/Doctor Feelgood too). Bob Marley dichiarò poi che i punk sono degli emarginati, così come i rasta, perciò ci uniamo e ci battiamo per le stesse cose perché, anche se non mi piacciono le spille da balia e le borchie, mi piace la gente che soffre e lotta con dignità e senza piangere.

Prima di tutti, però, c’erano i Clash, il gruppo più rappresentativo di questa unione culturale tra punk e reggae. I membri della band, Paul Simonon in particolare, erano cresciuti nei quartieri ad alta intensità di immigrati, ed erano grandi appassionati di suoni giamaicani. Joe Strummer, voce ed anima della band, affermò, a proposito di quei giorni, che tutto il mondo è pieno di oppressi, e nel 1977 a Londra c’erano i rasta ed i punk, così fu naturale che ci alleassimo. L’Inghilterra è una nazione molto repressiva, in cui gli immigrati vengono trattati male. Ma quella gente aveva un forte senso della dignità e dell’orgoglio, e quando andavamo ai loro concerti, all’inizio credevamo che sarebbe stato meglio rimanere in disparte e non disturbarli. Ma loro non ci fecero sentire in disparte, né ci picchiarono o si vendicarono con noi per ciò che subivano dagli altri inglesi. Compresero subito che forse noi eravamo là perché avevamo solo bisogno di un po’ della loro cultura e della loro musica. E White Man in Hammersmith Palais è una canzone che mi cantavo in testa mentre ero al centro della sala all’Hammersmith Palais, circondato da centinaia di rasta, dread e natty rebel. In quella canzone descrivo quello che provavo, realmente.

I Clash, rigettando il vuoto nichilismo del punk “anarchico”, divennero la voce, quella dotata di più coscienza e consapevolezza, della ribellione dei ragazzi delle periferie. White Riot fu scritta proprio in seguito alla rivolta degli immigrati durante il Carnevale di Notting Hill del 1976, alla quale parteciparono Strummer e Simonon. Quell’anno il governo cittadino aveva stanziato un numero impressionante di poliziotti per pattugliare le strade nei giorni della manifestazione e la popolazione caraibica, che voleva solo scendere in strada per festeggiare e ballare con i sound system, si sentì naturalmente provocata e minacciata. Quando il lunedì sera, alla fine dell’evento, la polizia tentò di arrestare un ragazzo, si diede sfogo alla rabbia e scoppiò un tumulto dei ragazzi di colore che durò tutta la notte e terminò, tra le macerie e le vetrine dei negozi frantumate, con 456 feriti e 60 arresti.

Mickey Dread, grande amico dei Clash, dichiarò: ho sempre visto Joe Strummer come un leader nel mondo del rock, purtroppo non ha mai avuto la considerazione che avrebbe meritato per il suo impegno, dato che aveva affrontato in maniera schietta argomenti che altra gente evitava di affrontare. Quando incontrai i Clash, fui veramente sorpreso del fatto che dei ragazzi bianchi supportassero il reggae, comprando dischi ogni settimana e restando sempre informati sulla sua evoluzione. Ci siamo trovati spesso in situazioni in cui degli skinhead o dei punk volevano picchiarmi per il colore della mia pelle ed i Clash mi hanno sempre protetto. Loro indossavano sempre anfibi Doctor Martin’s e ne comprarono un paio anche a me, dato che sapevano di essere in guerra, e se qualcuno si avvicinava o ci minacciava noi li mandavamo via a calci. Ed aggiunse, a proposito del tour per la presentazione di Sandinista del 1980: inizialmente non dovevo andare in tour con loro, ma quando me lo chiesero io accettai, dato che volevano introdurmi al loro pubblico. Ma a Los Angeles ebbi davvero una pessima accoglienza. Avevamo suonato ovunque nel mondo ma lì era pieno di punk che volevano buttarmi giù dal palco, sembravano impazziti. Io li guardavo, c’erano ventimila persone, ed io lassù mi chiedevo che cazzo stava succedendo. Così mi voltai e dissi ai Clash che non mi sarei esibito quella sera, perché era chiaro che quella folla non voleva vedere un nero sul palco. C’era un buttafuori nero nella crew, ed io e lui eravamo i soli due neri circondati da una marea di punk bianchi e incazzati! Mi volevano mangiare vivo! Ma Joe mi disse di uscire fuori perché non dovevo farmi dire da quegli stronzi cosa dovevo o non dovevo fare. Così uscì e dissi con serietà che ero andato negli Stati Uniti credendo di incontrare gente intelligente, con la mente aperta, senza pregiudizi, gente non razzista, gente che voleva che il mondo vivesse in pace e unità. Dissi così e li rimproverai per quel comportamento. E, credimi amico, la folla si azzittì a tal punto che avresti sentito anche una goccia d’acqua se fosse caduta. Così continuai dicendo che si, sapevo che erano là per vedere i Clash, ma che avrei aperto la serata presentando un po’ di reggae music, partendo dalle sue radici. Così mi rispettarono ed io potei iniziare a suonare. Successe proprio questo. Avevamo rotto il ghiaccio.
Come vediamo, il razzismo era un serio problema persino ai concerti dei Clash. Paul Simonon disse: suonavamo pezzi reggae durante i nostri concerti ed i ragazzi che ci venivano perché amavano i Clash – e sapevamo che alcuni di essi erano supporter del Nation Front -, quando suonavamo reggae era come se li stessimo facendo convertire alla musica dei neri, perché tramite questa volevamo farli allontanare da quei sentimenti razzisti.

I Clash suonarono cover di pezzi reggae come Armagideon Time di Willie Williams, Revolution Rock di Danny Ray, Police and Thieves di Junior Marvin, Pressure Drop dei Maytals, Wrong ‘Em Boyo dei Rulers. In altri loro pezzi nominarono anche i loro eroi del reggae. Basti pensare al riferimento a Prince Far I in Clash City Rockers, Dr. Alimantado in Rudy Can’t Fail, “Satta Massagana” degli Abyssinians in Jimmy Jazz; Dillinger, Leroy Smart, Ken Boothe e Delroy Wilson in White Man in Hammersmith Palais. Cantarono poi il caotico viaggio del chitarrista Mick Jones in Giamaica all’interno di Safe European Home e, soprattutto, scrissero loro brani influenzati dal dub e dal reggae tra cui le magnifiche Bankrobber, Ghetto Defendant, One More Time, Junco Partner.

 

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